Ministero della Cultura - MIC-Direzione generale archivi

Servizio Archivistico Nazionale

Archivi d'impresa

1970 - 1980: Il decennio terribile

Tecnico al lavoro in uno stabilimento Microtecnica, Torino, anni Settanta (Archivio nazionale cinema d'impresa, fondo Microtecnica srl).

 
 

Conflitto sociale e conquiste dei lavoratori
Questo decennio è ricordato come un periodo di crisi e di conflitti anche se, a uno studio non superficiale e comparato con fasi successive, mostra una notevole reattività della società e dell’economia nazionale. Diverse sono le ragioni della crisi. Innanzitutto, l’acuto conflitto sociale che ha inizio nell’autunno del 1969 – il cosiddetto “autunno caldo” –, inaugurato alla Fiat e concluso con un episodio di lotta nella stessa azienda nel settembre-ottobre del 1980, l’occupazione di Mirafiori e la “marcia dei quarantamila”. Il sindacato raggiunge nel decennio un potere sino ad allora sconosciuto nella società italiana, ottiene grandi conquiste, come lo Statuto dei diritti del lavoratori, il diritto alla salute in fabbrica e una classificazione più egualitaria dei lavoratori con l’inquadramento unico. Tuttavia, non sa scegliere se perseguire una prospettiva rivoluzionaria o misurarsi con le compatibilità del sistema capitalistico. Ciò emerge, ad esempio, con il celebre accordo del 1975 fra Agnelli (Presidente della Confindustria) e Lama (in rappresentanza del fronte sindacale) sul “punto unico di contingenza”, che certamente contribuisce a tenere l’inflazione italiana sopra le due cifre. La mancata istituzionalizzazione del conflitto sociale è risentita in special modo nelle fabbriche che sono teatro di soprusi e violenze, in un clima da cui trae alimento il tragico fenomeno del terrorismo.

 

Crisi internazionale e crisi della grande impresa
Anche fattori esogeni contribuiscono a rendere il contesto turbolento: il disordine monetario seguito all’annuncio, nell’agosto del 1971, dello sganciamento del dollaro dall’oro; gli shock petroliferi – quello del 1973, provocato dalla guerra del Kippur fra arabi e israeliani, e quello del 1979, in conseguenza alla crisi iraniana – che portano il costo del barile da 3 a 40 dollari. Entra in crisi la grande impresa, sia pubblica che privata. Lo stabilimento siderurgico di Taranto, il più grande dell’Iri nel Mezzogiorno, conosce una scriteriata espansione, che punta a produzioni di massa per le quali i concorrenti di altri Paesi, in particolare il Giappone e la Corea, sono imbattibili. Fallisce anche l’esperienza dell’Alfa Sud, l’impresa automobilistica dell’Iri inizialmente destinata a sfidare la Fiat, e che invece sarà messa in ginocchio da una imprevista conflittualità sindacale e dalle richieste di produrre sempre maggior occupazione da parte dei politici. Anche alla Fiat, del resto, gli sviluppi sono difficili. La testimonianza di Cesare Romiti è sotto questo profilo assai significativa: nominato Direttore amministrativo nell’ottobre del 1974, quando chiede i conti di cassa si rende conto che non ci sono i soldi per pagare gli stipendi di fine anno (particolare che era sfuggito a ogni altro controllore). Clamorosa è, soprattutto, la débacle della Montedison, gigante dai piedi d’argilla della chimica italiana, esempio da manuale di una fusione negativa, infarcita di duplicazioni e di rami secchi che nessuno ha il coraggio di tagliare.

Il dinamismo dei distretti
L’Italia degli anni Settanta è un mistero: sembra andare tutto male, eppure il Paese cresce a un tasso del 3% annuo, secondo solo al Giappone fra i paesi dell’Ocse. Si riscopre allora la piccola impresa, spesso organizzata nella forma del distretto industriale. Nel 1991, quando il Parlamento approva una legge che intende tutelarli, vengono recensiti 199 distretti, che possono contare 2.200.000 addetti, ossia il 45% dell’occupazione manifatturiera complessiva. Sono i distretti, che indirizzano le proprie risorse verso la produzione di beni per la persona e per l’abitazione, i protagonisti dell’ascesa del made in Italy.