Ministero della Cultura - MIC-Direzione generale archivi

Servizio Archivistico Nazionale

Archivi d'impresa

1896 - 1918: La prima industrializzazione

Incrociatore corazzato General Belgrano, 1896 (Archivio di Stato di Livorno, Archivio storico del Cantiere navale Luigi Orlando di Livorno).

 
 

La forza attivante della cornice internazionale
Gli anni che vanno dal 1896 al 1914 sono stati definiti, date le condizioni di arretratezza dell’economia del Paese nel decennio precedente, il vero “miracolo economico” italiano. Sebbene caratterizzata da una notevole concentrazione territoriale (emerge in questi anni il “triangolo industriale” Milano-Torino-Genova), e per quanto in misura inferiore rispetto ad altri late comer, quali la Russia, il Giappone e la Svezia, l’Italia conosce una forte accelerazione nella crescita dell’industria, tanto che si può constatare un incremento medio annuo della produzione del settore superiore al 7%. Fra il censimento del 1901 e quello del 1911 gli operai maschi sono 400.000 in più, mentre la popolazione femminile del settore secondario cala nel comparto tessile – a dimostrazione del declino dell’attività a domicilio –, ma conosce un incremento di 165.000 unità negli altri comparti. Cambia la struttura manifatturiera, poiché i settori pesanti (la metallurgia, la meccanica, la chimica, il minerario), che nel 1895 incidevano sull’intera produzione per meno del 20%, diciotto anni più tardi superano il 30%. Muta anche la composizione del commercio internazionale, a dimostrazione del fatto che alla vigilia del conflitto mondiale l’Italia non è più il Paese periferico che esporta derrate alimentari e materie prime per l’industria altrui, importando prodotti finiti. Di grande rilievo è, nonostante il protezionismo praticato per alcuni prodotti ritenuti strategici, l’apertura dell’Italia all’economia mondo. Dall’estero giungono nuove tecnologie, nuove competenze organizzative e imprenditoriali, nuove forme di finanziamento alle imprese (le banche miste), mentre è ancora il contesto internazionale a offrire nuovi mercati. L’Italia, priva di una materia prima quale il carbone, riesce a risolvere in parte il problema dell’approvvigionamento energetico per l’attività produttiva con il cosiddetto “carbone bianco”, ovvero l’energia idroelettrica. L’economia nazionale trova in questi anni anche una soluzione per il deficit commerciale dovuto all’importazione di macchinari e di materie prime: sono le rimesse degli emigranti, 6 milioni di persone che lasciano l’Italia tra la fine dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale, a provocare un sostanziale avanzo nella bilancia dei pagamenti.

 

Operai della Breda al lavoro nel reparto di produzione di siluri durante la Prima guerra mondiale, 1915-1918 (Fondazione Isec, fondo Breda).

 
 

Stato e mercato
Lo Stato, già visto all’opera nel “caso Terni”, è primo attore anche in questa fase di sviluppo con le commesse per l’industria pesante – nel 1905 vengono nazionalizzate le ferrovie – e con il salvataggio dell’intero settore siderurgico orchestrato dalla Banca d’Italia nel 1911. A cavallo fra Ottocento e Novecento emerge e si afferma anche un’imprenditoria orientata al mercato: i Pirelli (al fondatore Giovanni Battista si aggiungono all’inizio del secolo alla guida dell’impresa i due figli Piero e Alberto) che, scoperta un’industria nuova – quella della gomma – competono vigorosamente sul mercato mondiale alla testa di un’impresa multinazionale, con stabilimenti in Spagna, Sud America e Inghilterra; Giovanni Agnelli, il quale comprende per primo che l’automobile non è un giocattolo per ricchi ma un bene di consumo durevole destinato a vaste masse di utenti e, quindi, attua grandi investimenti nella produzione e nella distribuzione dei veicoli.

La "mobilitazione industriale" negli anni della guerra
La Prima guerra mondiale, con le sue grandiose necessità di uomini e materiali, costituisce il punto di non ritorno per il processo di industrializzazione italiana. Al termine del conflitto l’Italia è l’ottavo Paese al mondo per alcune produzioni fondamentali. Un risultato del genere è raggiunto grazie alla Mobilitazione industriale, un organismo articolato su basi regionali che durante le operazioni belliche controlla quasi 800 stabilimenti ausiliari. A questi vengono concessi tre privilegi: 1) la militarizzazione della forza lavoro; 2) l’assoluta preferenza per la fornitura di materie prime; 3) il pagamento a piè di lista delle commesse senza il controllo della Corte dei conti. È facilmente comprensibile come misure di questo genere leghino ancora più strettamente, e non sempre in modo positivo, gli imprenditori allo Stato. L’80% degli stabilimenti ausiliari è collocato all’interno del triangolo industriale: l’esperienza della mobilitazione bellica comporta di conseguenza l’accentuazione degli squilibri nello sviluppo industriale e del divario economico fra Nord e Sud del Paese.