Ministero della Cultura - MIC-Direzione generale archivi

Servizio Archivistico Nazionale

Archivi d'impresa

Torino-Ivrea 1980 - 1992: L'illusorio boom

Immagine pubblicitaria per il lancio della Fiat "Uno", Cape Canaveral,1983 (Archivio e centro storico Fiat, fondo iconografico).

 
 

La crisi della Fiat è la crisi del tessuto industriale della città, che ruota ormai da decenni attorno alle vicende della grande impresa automobilistica e del suo indotto: si profila l’epilogo della parabola fordista, che vede i sussulti della riorganizzazione e il confronto fra diverse opzioni di rilancio; nel periodo della transizione, segnato dalla riduzione dell’occupazione, il lancio della Uno all’inizio del 1983 rappresenta una svolta sulla strada del risanamento aziendale: le vendite del nuovo modello consentono ad Agnelli di riaffermare la fedeltà all’attività caratteristica dell’impresa; dietro al successo di mercato e al rilancio internazionale della maggiore impresa automobilistica del Paese, si confrontano però due opzioni strategiche: la centralità della vocazione automobilistica originaria, rappresentata dall’Amministratore delegato Vittorio Ghidella, e la creazione di una conglomerata con interessi economici ramificati, quale sarà l’impresa guidata nel decennio seguente da Cesare Romiti.
Nel 1986 la Fiat acquisisce anche l’Alfa Romeo dall’Iri e il dominio della casa torinese sulla produzione automobilistica nazionale si configura come un monopolio; fallisce però il progetto di una Fiat industriale automobilistica, che si sarebbe realizzato attraverso la fusione con Ford Europa, alla quale si oppone la famiglia Agnelli per non perdere il controllo della società.
L’individuazione di una strategia di uscita dalla monocoltura automobilistica è il problema con cui la città comincia a confrontarsi, mentre la crisi del fordismo è anche una crisi di quelle culture del lavoro e organizzative che avevano sostanziato la crescita della “capitale dell’automobile”: ma la fine del modello non lascia un panorama desertificato, anche se le ristrutturazioni evidenziano i risvolti dolorosi della disoccupazione di una manodopera che per l’età matura e il basso livello di qualificazione non viene riaccolta nel mercato del lavoro. In attesa che si delinei una nuova fisionomia economica per Torino, la decennale concentrazione sul ciclo produttivo dell’auto espone l’economia cittadina alle fluttuazioni e ai contraccolpi di un mercato automobilistico ormai aperto alla globalizzazione.
Se a Torino la possibile uscita dalla crisi preannuncia un percorso di deindustrializzazione e la necessità di progetti di sostegno e riqualificazione sociale ed economica della forza lavoro, sulla frontiera tecnologica internazionale si colloca ancora una volta la produzione Olivetti a Ivrea. Dopo il ripiegamento dell’impresa seguito alla morte di Adriano Olivetti e la cessione della preziosa divisione elettronica – che aveva prodotto, nel 1959, l’Elea 9003, uno dei primi mainframe al mondo, e, nel 1965, l’Olivetti Programma 101, il precursore del personal computer –, alla fine del decennio Settanta, l’Amministratore delegato e azionista di riferimento è l’imprenditore torinese Carlo De Benedetti, che imposta un programma di rivitalizzazione dell’impresa con il rilancio della ricerca nell’elettronica e nuove aperture internazionali.

 

Campagna pubblicitaria Olivetti del 1987. (Archivio storico Olivetti, fondo Olivetti).

 
 

Nel 1982 è presentato il primo personal computer, denominato Olivetti M20, quasi in concomitanza con l’entrata della Ibm in questo nuovo segmento di mercato. Il decennio Ottanta vede comunque il Gruppo Olivetti alla ricerca di un nuovo assetto finanziario e organizzativo, con varie partnership estere di produzione e ricerca nei settori dell’informatica e delle telecomunicazioni.
Anche per la Fiat, alla fine del decennio, il disegno dell’Amministratore delegato Romiti, appoggiato da Mediobanca e da Enrico Cuccia, delinea una impresa lanciata su mercati finanziari e industriali diversi da quelli dell’auto, e sempre meno radicata nel tessuto economico cittadino. L’andamento altalenante della congiuntura vede quindi un arretramento complessivo dell’esperienza storica della grande impresa a favore di dinamiche di decentramento produttivo e tentativi di recuperare stabili assetti finanziari che consentano di pianificare una collocazione nel nuovo scenario globale.
L’esaurimento dell’esperienza di polo industriale fordista lascia intravedere alla fine del decennio Ottanta un lascito economico importante alla città e alla regione piemontese, quello di una articolata esperienza manifatturiera che ha favorito la crescita di competenze organizzative e gestionali, della ricerca applicata alle nuove produzioni ad alto contenuto tecnologico e degli esperimenti di progettazione urbanistica, della creatività nel design industriale e dei servizi del terziario avanzato orientati alle imprese: si tratta di una cultura industriale variegata in transizione dalla centralità della fabbrica e degli operai alle flessibili prospettive occupazionali dei lavoratori della conoscenza in un orizzonte capitalistico immateriale.

Risorse bibliografiche
S. Musso, Il lavoro e la città, in Torino Industria. Persone, lavoro imprese, a cura di G. Berta, Torino, Archivio storico della città di Torino, 2008; N. Crepax, Storia dell’industria in Piemonte, in Centro on line di Storia e cultura dell’industria. Il Nord-Ovest dal 1850, www.storiaindustria.it; Associazione Archivio Storico Olivetti, Ivrea, Olivetti. Storia di un’impresa, www.storiaolivetti.it.