Ministero della Cultura - MIC-Direzione generale archivi

Servizio Archivistico Nazionale

Archivi d'impresa

Genova 1861 - 1896: Prima dell'industria

Sorta con l’aspettativa di ricevere cospicue commesse dallo Stato sabaudo – che però non arrivano nella quantità sperata –, l’impresa versa presto in gravi difficoltà. Nel 1852 lo stabilimento torna in possesso dello Stato, a rimborso dei crediti concessi, e viene poi rilevato nel 1853 dall’accomandita Gio Ansaldo & C., costituita dall’ingegnere Giovanni Ansaldo, gerente dell’impresa, dal banchiere Carlo Bombrini, dall’armatore Raffaele Rubattino e dall’uomo d’affari Giacomo Filippo Penco, autorevoli rappresentanti di quella borghesia genovese che nel decennio cavourriano ha fatto del rapporto privilegiato col Governo piemontese l’asse strategico della propria azione. Nei suoi primi trenta anni di attività l’Ansaldo produce locomotive, macchine a vapore, caldaie, cannoni e granate, getti in ghisa, ed effettua lavori di carpenteria metallica: una produzione diversificata e di qualità, ma non sufficiente a garantire un adeguato sfruttamento degli impianti e la redditività dell’esercizio. Le marcate oscillazioni nel numero dei dipendenti (attorno alle 500 persone nel decennio 1850, più di un migliaio nel biennio 1860-61, ancora 500 nel 1875, meno di 300 sul finire del 1878, 8-900 nel 1883) e i bilanci che si chiudono continuamente in rosso provano le difficoltà in cui si dibatte l’azienda. Altre imprese sorgono a Sampierdarena alla metà dell’Ottocento: tra esse la fonderia con annessa officina meccanica creata dall’ingegnere scozzese Thomas Robertson, che presto raggiunge dimensioni ragguardevoli (ha alcune centinaia di addetti negli anni 1858-61) ed effettua lavorazioni diverse per lo Stato e per committenti privati; l’impresa non sopravvive però alla morte del suo fondatore, avvenuta nel 1863. Altri tecnici scozzesi, John Wilson e Alexander Maclaren, sono assunti dopo la guerra di Crimea proprio nello stabilimento di Robertson, rispettivamente come capo tecnico e come ingegnere, per poi fondare una propria officina sul litorale. L’azienda, che conta un’ottantina di dipendenti al 1874, circa 200 negli anni Ottanta, 150 alla rilevazione del 1892, produce macchine a vapore, caldaie e “meccanismi in genere” oltre a naviglio di piccolo tonnellaggio sulla spiaggia dove sorgeva inizialmente la fabbrica. Il quadro della Genova industriale si va dunque modificando. Fattori decisivi di tale trasformazione sono l’azione dello Stato, che crea una più moderna rete di infrastrutture di trasporto, e il ruolo di imprenditori e tecnici stranieri che portano in Italia le conoscenze della “rivoluzione industriale” già avviata in Inghilterra e in alcune aree dell’Europa occidentale. Le fabbriche moderne tendono a localizzarsi sulla costa e in prossimità del porto di Genova, per la maggiore facilità nell’approvvigionamento delle materie prime che provengono dal mare; il settore meccanico si affianca ai tradizionali comparti tessile e alimentare.

 

Un vero e proprio salto di qualità avviene negli anni Ottanta del XIX secolo, allorché si delinea un modello di crescita, strettamente legato all’idea di sviluppo che la classe dirigente del tempo, la Sinistra storica, elabora: lo Stato intende promuovere l’industrializzazione nella radicata convinzione che essa sola possa permettere all’Italia di assumere lo status di potenza europea; fondamentale in quest’ottica è il settore metalmeccanico, legato alle commesse statali – alle forniture militari, in particolare –, con fabbriche capaci di costruire grande macchinario, navi da guerra e mercantili, materiali d’artiglieria e corazze e, alla fine del secolo, anche i nuovi prodotti della giovane elettrotecnica. Si tratta di produzioni su commessa che richiedono adeguate competenze tecnologiche e scientifiche. Su ciò punta la borghesia industriale genovese: è una scelta vincente che caratterizza la città come uno dei poli del nascente triangolo industriale del Paese. Si investono capitali ingenti in settori quali il siderurgico (che può approfittare dei vantaggi del rifornimento via mare di carbon fossile e rottame), il navalmeccanico legato alle forniture statali, il cotoniero e il saccarifero. Nello stesso periodo si consuma la crisi della marineria velica, tradizionale asse portante dell’economia di Genova, con l’affermarsi della navigazione a vapore. Il ceto armatoriale genovese opera un rilevante trasferimento di capitali dal comparto marittimo a quei rami dell’industria che, grazie ai provvedimenti governativi, possono garantire più sicuri margini di profitto. Erasmo Piaggio ed Edilio Raggio, entrambi armatori, sono indiscussi protagonisti di tale processo. Il primo entra nel settore dello zucchero (Raffineria genovese, 1888) e poco dopo in quello navalmeccanico, prima fondando nel 1890 la Società esercizio bacini per la riparazione di grandi navi, e più tardi acquisendo la maggioranza azionaria della Cantieri navali riuniti. Raggio rileva una ferriera a Sestri Ponente nel 1880, dotandola del primo forno Martin-Siemens della Liguria, e partecipa nel 1899 alla costituzione della società Elba. Accanto a questi personaggi provenienti dal mondo armatoriale si distinguono imprenditori quali i fratelli Bombrini o Attilio Odero, attivi nel settore navalmeccanico. Nell’ultimo ventennio dell’Ottocento l’apparato manifatturiero genovese può così strutturarsi e irrobustirsi.

Risorse bibliografiche
G. Doria, Investimenti e sviluppo economico a Genova alla vigilia della prima guerra mondiale, Le premesse (1815-1882), 1, Milano, Giuffrè, 1969; G. Giacchero, Genova e Liguria nell’età contemporanea, Genova, Sagep, 1970; M. Doria, Da un’economia di antico regime all’industrializzazione, in Storia della Liguria, a cura di G. Assereto e M. Doria, Roma-Bari, Laterza, 2007.