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Archivi d'impresa

Ilva - Stabilimento di Bagnoli

Lo stabilimento Ilva di Bagnoli in costruzione, anni Dieci (Bagnolifutura spa, fondo Ilva di Bagnoli).

 
 

Lo stabilimento siderurgico di Bagnoli, sorto per sfruttare i benefici della legge speciale per Napoli del 1904, entra in produzione nel 1910, occupando circa 1.200 operai.
I programmi dell’Ilva sono però fortemente condizionati dal “salvataggio” del settore operato nell’estate del 1911 sotto la guida del direttore della Banca d’Italia, Bonaldo Stringher, e anche l’impianto napoletano subisce un ridimensionamento rispetto al progetto iniziale.
Non si hanno particolari notizie delle relazioni industriali in quei primi anni, ma a giudicare dalla rilevante posizione assunta nella società Ilva da Teodoro Cutolo (1862-1932), l’organizzazione di fabbrica può desumersi come piuttosto severa.
Alla vigilia del conflitto gli operai sono più che raddoppiati (2.500 circa) e aumentano ulteriormente durante la guerra, sotto il regime della “mobilitazione industriale”. L’Ilva è tra le prime aziende a ottenere il requisito della “ausiliarietà”, tramite il quale organizza l’attività produttiva in base alle esigenze belliche della nazione.
Dopo l’esordio speculativo dei primi esercizi, caratterizzato dalla distribuzione di dividendi con metodi finanziari poco rigorosi, è ancora sul piano borsistico che maturano eventi decisivi per l’Ilva, quando, nel 1917, Max Bondi (1883-1927) comincia quella scalata il cui sbocco sarà, nell’estate 1918, la nascita della grande Ilva. La nuova società nasce con un programma ambizioso, basato sulla polisettorialità e mirante al controllo diretto di tutte le attività collegabili alla produzione siderurgica. Un’impostazione sicuramente moderna e capace di turbare gli equilibri economici, ma minata alla base da una scarsità di mezzi propri e, conseguentemente, da un eccessivo indebitamento e soprattutto da una modalità di generazione dei profitti dipendente dalle commesse statali.

 

Lo stabilimento Ilva di Bagnoli, Napoli, 1905 (Bagnolifutura spa, fondo Ilva di Bagnoli).

 
 

Nel maggio del 1921 Bondi è sfiduciato dalla Banca commerciale, che lo sostituisce con Arturo Bocciardo (1876-1959). Già dall’anno precedente lo stabilimento di Bagnoli ha chiuso i battenti e sarà riaperto, per volontà politica del Governo fascista, soltanto nel 1924.
La grande crisi economica mondiale coglie le banche miste fortemente immobilizzate. L’Ilva rientra nella sfera della Banca commerciale e dunque finisce nella Sofindit, la finanziaria chiamata a raccogliere le partecipazioni industriali della banca. L’uomo Sofindit al quale il Ministro Jung prima, e poi il Presidente dell’Iri, Alberto Beneduce, affidano il mandato di riorganizzare l’intera siderurgia italiana è Oscar Sinigaglia (1877-1953). Sinigaglia è un convinto assertore del ciclo integrale, in alternativa a quello del rottame voluto dai gruppi privati (Falck). Con entusiasmo e coraggio presenta un piano che prevede la ristrutturazione e il rilancio degli impianti di Piombino e Bagnoli. La sua esperienza a capo dell’Ilva (viene designato Presidente nel 1932) dura sino al 1935. Nel mese di ottobre del 1935 entra nel Consiglio d’amministrazione dell’Ilva Francesco Giordani (1896-1961), il quale, sia pure con molte cautele, sostiene la siderurgia integrale. Nei mesi e negli anni successivi, la lenta convergenza sulle stesse posizioni di Bocciardo e la tenace battaglia di un altro tecnico di provenienza Sofindit, Agostino Rocca (1895-1978), fanno sì che l’industria di Stato prenda le distanze da quella privata attraverso il riconoscimento di interessi contrapposti.