Ministero della Cultura - MIC-Direzione generale archivi

Servizio Archivistico Nazionale

Archivi d'impresa

Banco di Napoli

La sede della Direzione Generale del Banco di Napoli, Napoli, 1939 (Archivio storico municipale di Napoli, fondo Domenico De Lucia).

 
 

Cinquecento anni di storia
Il Banco di Napoli vanta oltre cinquecento anni di storia. Dopo l’Unità d’Italia conserva le sue principali prerogative di istituto di emissione e avvia l’apertura di filiali fuori dall’area meridionale, a Firenze, Roma e Milano; la gestione del credito agrario nei decenni postunitari è fondamentale per l’economia del Sud, in particolare quella che punta alle specializzazioni delle coltivazioni (agrumi e olivo). All’inizio del Novecento risale anche l’apertura della prima filiale negli Stati Uniti, a New York, che diventa un punto di riferimento importante per raccogliere e canalizzare verso l’Italia le rimesse degli emigrati.
Quando, nel 1893, viene costituita la Banca d’Italia, non è possibile resistere alle pressioni locali, che considerano una diminuzione l’eventuale accentramento dell’emissione nella costituenda banca centrale. Dal 1896 il Banco è diretto da Nicola Miraglia e, dal 1900, la Banca d’Italia è guidata da Bonaldo Stringher. Tra i due si stabilisce presto un perfetto accordo, e l’anomalia dell’emissione all’istituto meridionale non crea squilibri al sistema, che ha nella trentennale direzione di Miraglia un punto di stabilità e rigore.
Nel 1926 il Governo fascista nella persona di Giuseppe Volpi, Ministro delle Finanze e del Tesoro, affronta la questione del pensionamento dell’ormai novantunenne Miraglia. Dopo una breve gestione commissariale, nel 1927, le sorti del Banco sono affidate a un pupillo di Volpi, il gerarca ravennate Giuseppe Frignani, Sottosegretario del Ministro e, prima, brillante funzionario di istituti di credito romagnoli. Anche Frignani resta a lungo a Napoli, emergendo come protagonista del mondo bancario nazionale, fino al 1944. A partire dai decreti del 1926, il Banco di Napoli viene qualificato (con il Banco di Sicilia, la Banca nazionale del lavoro, l’Istituto San Paolo di Torino, il Monte paschi di Siena) come istituto di diritto pubblico: svolge quindi le funzioni di banco di credito con sezioni autonome speciali e, dal 1938, è anche proprietario dell’Istituto per lo sviluppo del Mezzogiorno (Isveimer). In realtà la sua strategia operativa resta quella di un ente lontano da logiche di profitto e, in parte, di mercato.

 

Dopo il '29
Dopo la crisi del 1929, il Banco di Napoli svolge una funzione importante di sostegno e salvataggio delle banche locali e – primo fra gli istituti di credito italiani –, costituisce un Ufficio studi, che pubblica anche una rivista («Rassegna economica»). Dal 1935 Frignani è Vicepresidente della Corporazione del Credito (Presidente è Mussolini) e si fa portatore di una politica equilibrata che lo vede contrastare l’ascesa piuttosto spregiudicata della Banca nazionale del lavoro (Bnl) sotto la gestione di Arturo Osio, spesso in accordo con i vertici di quelle che, dopo il 1936, diventano le tre banche di interesse nazionale (Banca commerciale italiana, Credito italiano e Banco di Roma).
Dopo gli sconvolgimenti della guerra e dell’occupazione alleata, l’assetto dato dal Fascismo al sistema bancario, nonostante la congiuntura internazionale liberista, resta praticamente immutato. Anzi, soprattutto grazie al lavoro silenzioso di Donato Menichella (1896-1984), diventato Governatore della Banca d’Italia nel 1948, l’istituto centrale conquista prestigio, autonomia e potere.
Il Banco di Napoli, nel Secondo dopoguerra, vive quattro presidenze significative: quella di Ivo Vanzi dal 1947 al 1958; quella di Epicarmo Corbino dal 1959 al 1964; quella di Stanislao Fusco dal 1965 al 1974; quella di Paolo Pagliazzi dal 1975 al 1979; queste tuttavia, mentre consolidano l’immagine dell’istituto soprattutto come polmone finanziario degli enti locali, non ne migliorano la redditività. Tra l’altro, in ritardo rispetto a quanto sta già accadendo in campo nazionale da alcuni anni, a ogni rinnovo delle cariche è più evidente che le qualità richieste ai candidati sono sempre meno quelle tecniche e sempre più quelle politiche, spesso incompatibili con sufficienti margini di autonomia ed efficienza. Il Banco di Napoli diventa oggetto di contesa fra partiti e correnti che governano in città.