Ministero della Cultura - MIC-Direzione generale archivi

Servizio Archivistico Nazionale

Archivi d'impresa

Filoni di ricerca (Soprintendenza archivistica per la Sardegna, Iglesias, 2004)

Chiesa di Santa Barbara, Monteponi 1900 ca. (Comune di Iglesias, fondo Monteponi Montevecchio, Serie fotografica, tecnica e cartografica)

 
 

La Chiesa : assistenza spirituale e materiale
a cura di Carlo Cani

Tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento, la Chiesa iglesiente si trova a svolgere la sua attività pastorale in quel difficilissimo momento storico caratterizzato dall'allontanamento di vasti strati sociali dalla pratica religiosa e dal riconoscimento della gerarchia ecclesiastica.
Nonostante l'attività mineraria avesse determinato profonde trasformazioni economiche, sociali e culturali, nel 1916 mons. Dallepiane, nella sua relazione ad limina, registra l'abbandono del precetto pasquale, la frequenza di matrimoni civili e la scarsa considerazione del clero presso la popolazione, a fronte di un socialismo diffuso larghissimamente, soprattutto fra i minatorie gli operai legati all'industria mineraria.
Ma è proprio questa realtà così problematica, ricca di complesse e multiformi trasformazioni, a tradursi in una nuova ed impegnativa sfida pastorale per la Chiesa locale che, ponendosi al servizio delle classi più deboli della comunità, riesce ad offrire una risposta concreta ai loro bisogni.
I Vescovi costituiscono le "cappellanie curate", strutture pastorali che, in accordo con le direzioni delle miniere, garantiscono l'assistenza spirituale a questa vasta porzione della popolazione.
 Esemplare la testimonianza di tanti sacerdoti, ancora oggi ricordati, che si sono fatti carico di rispondere alle attese della gente. In questa opera di promozione umana e di evangelizzazione notevole è l'impegno di quelle congregazioni femminili di vita attiva che, in stretto rapporto con la Chiesa diocesana, si pongono con umiltà al servizio dell'uomo in realtà periferiche e marginali.
Notevole il contributo offerto dalla Compagnia della figlie della carità a Monteponi e a Buggerru per garantire l'assistenza sia nella scuola materna che nelle strutture assistenziali, in particolar modo negli ospedali gestiti dalle direzioni minerarie.
Spesso sono le stesse maestranze a chiedere la presenza delle religiose. Nell'ottobre del 1905 l'ingegner Carlo Parmisani, addetto alla miniera di Nebida, fa regolare richiesta alla casa madre delle Suore dei poveri di Santa Caterina da Siena, per l'invio in diocesi di quattro o cinque sorelle alle quali affidare il piccolo ospedale per  i minatori e i servizi educativi per i figli degli operai della miniera di Masua.
Dopo l'approvazione del vescovo, mons. Raimondo Ingheo, le sorelle giungono nell'isola il 16 maggio 1906.
 

 

In una foto di Carlo Abeniacar lo sciopero generale a Napoli, nel 1904, per i fatti di Buggerru e Castelluzzo.

 
 

La protesta
a cura di Vincenzo Gaias

L’attività mineraria fino alla fine dell’Ottocento si caratterizzò per una quasi totale assenza di attenzione sociale da parte della borghesia e del padronato industriale per i problemi della classe operaia delle miniere ed anche per una generale mancanza di coscienza da parte della stessa.
Fu solo agli inizi del ‘900, grazie alla diffusione degli ideali socialisti ad opera di dirigenti sindacali e politici di primo piano come Cavallera, Costa, Battelli, Corsi, Pichi che i lavoratori delle miniere sarde, lentamente, e se vogliamo anche disordinatamente in un primo tempo, presero coscienza delle proprie condizioni di vita e di lavoro durissime e della necessità di avere ruolo in un mondo industriale che era in espansione ma che non avrebbe avuto cura di modificare nulla se non forzato da rivendicazioni in grado di scuotere le società minerarie interamente rivolte agli utili azionari.
I lavoratori delle miniere sarde erano, rispetto al resto d’Italia, quelli peggio pagati; inoltre, i minatori sardi, che provenivano dalle campagne, non essendo specializzati erano discriminati rispetto ai minatori continentali coi quali pure condividevano sacrifici e purtroppo molto spesso infortuni nelle gallerie ai limiti della sicurezza, avendo paghe inferiori e trattamenti meno favorevoli, oltre a vivere in condizioni di “schiavitù” per la pratica del “truck-system”. Avveniva infatti che nelle cantine, gli unici spacci dei villaggi, di proprietà delle società minerarie, si applicassero i prezzi maggiorati e si praticasse la vendita a credito; in questo modo le società avevano la garanzia di poter pescare alla fonte dal salario dei minatori e praticamente si riprendevano con una mano quel che avevano da dare con l’altra.
Le proteste operaie erano motivate sostanzialmente dalla richiesta di riduzione degli orari di lavoro, in galleria o alla cernita, e di aumento dei salari, talvolta avvenivano per avere in concessione dalla società un pezzo di terra dove attivare un forno comune. In un primo tempo le società, molto impegnate sul campo della ricerca, della produzione e del profitto, in continua crescita nei primi quindici anni del sec. XIX, non sembrano preoccuparsi eccessivamente e vedono negli scioperi fastidiosi problemi disciplinari e di governo delle maestranze e manovalanza che rallentano le lavorazioni.
Ben presto però i successi ottenuti dai lavoratori, che costituirono la Federazione dei minatori di Sardegna con delegazioni presso tutte le sedi del bacino minerario, e l’espandersi dei consensi per gli ideali socialisti obbligano il padronato minerario a organizzarsi anch’esso nella potente Associazione mineraria sarda e a trasferire neppure troppo velatamente sul piano della competizione politica le tensioni che non trovano sbocco ai tavoli delle trattative. Le parti si confrontano per il governo delle amministrazioni comunali minerarie e ben presto la lotta assume i toni accesi dello scontro tra il blocco padronale, altero e ben appoggiato dal mondo politico nazionale, e quello socialista in ascesa nei maggiori comuni dell’Iglesiente.
In età giolittiana i prefetti, sempre molto vicini alle direzioni delle miniere più che al mondo degli umili, venivano da queste coinvolti contro gli scioperanti, spesso indisciplinati, con richieste di intervento presso le miniere delle forze dell’ordine o dell’esercito; così avvenne che a Buggerru nel settembre del 1904 una protesta operaia finisse in un bagno di sangue. E’ in seguito a questo drammatico epilogo che fu proclamato il primo sciopero generale tra i lavoratori italiani.
In altri contesti invece la reazione delle società minerarie si risolveva con licenziamenti anche collettivi nel tentativo di dividere il fronte degli scioperanti dai “caporioni” che erano sempre i più in vista nell’organizzazione operaia.
A tale minaccia, che costituiva senz’altro un deterrente micidiale in epoca di miseria e di forte emigrazione per le classi povere, ovviarono le Leghe di resistenza dei lavoratori di ispirazione socialista, sorte nei siti minerari, con sottoscrizioni tra i lavoratori. Queste, rispetto alle società operaie di ispirazione padronale che avevano intenti assistenziali di tipo filantropico-paternalistici, agivano invece come organizzazioni operaie al servizio della causa politico sindacale anche con azioni di solidarietà e con la promozione di cooperative al consumo che calmierassero i prezzi del pane e dei generi di prima necessità.