Under the Cover. Archivio Lanerossi il workshop e la mostra (Soprintendenza archivistica per il Veneto, 2012)
di Alessandra Schiavon
Tra le imprese tessili che hanno scritto pagine tra le più importanti nella storia dello sviluppo industriale del Veneto, e poi anche d’Italia, si colloca l’industria laniera Rossi, poi Lanerossi, ubicata a Schio, sulle colline che si estendono da Vicenza verso le montagne dell‘Altopiano di Asiago.
È una storia che parte da lontano, addirittura dagli ultimi decenni di vita della Serenissima, in un contesto sociale che traeva solo dalla terra lavorata a mais, “avara e spesso devastata da eserciti in transito” la sua fonte di sostentamento, in un territorio segnato “dalle durezze di una vita costantemente alle prese con la miseria materiale”: qui, partendo dalla lana abbondante e di qualità di cui era da sempre facile rifornirsi grazie ai vicini pascoli di Asiago, Francesco Rossi padre (1772-1846) avvia anno dopo anno un’iniziale attività di lavorazione femminile casalinga, che lo porta a fondare tra gli anni 1817-188, con l’Austria nuova dominatrice di quelle terre, la fabbrica a lui intitolata Francesco Rossi & C. Nel giro di pochi decenni, l’azienda decolla, grazie in particolare all’impegno e all’intelligenza del figlio del fondatore, quell’Alessandro Rossi (1819-1898) che Luigi Luzzatti ebbe modo di definire nel 1868 “il tipo più perfetto dell’industriale italiano”, di cui si conserva nella sezione Archivi storici della Biblioteca civica di Schio, anche l’archivio personale donato al Comune.
Le vicende della ditta proseguono felicemente per tutto il secolo all’insegna del grande innovatore, e nel segno della continuità si estendono, per vari decenni, anche al secolo successivo, sotto la presidenza dei discendenti Giovanni e Gaetano e poi Alessandro. Ma il primo dopoguerra, e la sua conseguente crisi economica, vede l’esaurirsi della dinastia famigliare e l’ingresso di figure nuove ed esterne: in questa nuova direzione si sviluppa l’ultimo capitolo della storia Lanerossi fino al suo progressivo esaurirsi, attraverso passaggi intermedi come l’acquisizione di altre ditte italiane come la Lebole di Arezzo, ma anche l’assorbimento nel 1962 da parte di ENI, e il suo definitivo passaggio alla più giovane, concorrente e conterranea Marzotto.
L’archivio, segnato da dispersioni e distruzioni a seguito di numerosi spostamenti delle sedi direttive, da vicende belliche e vicende interne, come i repentini passaggi di consegne del personale addetto, si estende per quasi 4.000 metri lineari nella scenografica sala, un tempo utilizzata per l’assortissaggio delle lane, uno degli ambienti simbolo dell’attività e della vitalità aziendale, nella storica sede della Fabbrica Alta di Schio. Pur nella discontinuità e lacunosità di alcune serie, consente di attestare non solo le vicende dei vertici aziendali e delle maestranze, ma soprattutto la fortuna, la ricchezza e la felicità di una produzione di materiali che resta emblematica nella storia della moda e del design italiani. Ne sono preziosa testimonianza in particolare i campionari di tessuti, 3.499 registri di grande formato che conservano all’interno riquadri di stoffe di varia filatura e colori, destinati alla produzione estiva o invernale, dal 1848 al 1977 (si segnala che la serie non è peraltro integra e che all’interno, spesso per esigenze di produzione, alcuni campioni di stoffe venivano prelevati per essere utilizzati, e non risultano più ricollocati).