Ministero della Cultura - MIC-Direzione generale archivi

Servizio Archivistico Nazionale

Archivi d'impresa

AGNELLI, Giovanni

Benito Mussolini si rivolge alle maestranze dello stabilimento Fiat Lingotto, Torino, 1932 (Archivio e centro storico Fiat, Archivio iconografico).

 
 

Stabilità e radicamento
L’acquisto del quotidiano «La Stampa» nel novembre 1926 vale a radicare ancor più l’azienda al suo territorio mentre, nel luglio 1927, la nascita dell’Istituto finanziario italiano (Ifi) serve a rendere definitivamente stabile nelle mani di Agnelli il controllo azionario della Fiat. L’imprenditore doveva allora constatare l’esistenza, pur in una congiuntura favorevole, di limiti alla crescita della Fiat che sembrano invalicabili. Alla produzione giornaliera di 3.000 vetture dello stabilimento Ford nel Primo dopoguerra, la Fiat può a malapena opporre una media di 200 veicoli alla metà degli anni Venti. A fine decennio, Ford e General Motors erano in grado di costruire in una settimana tante automobili (circa 40.000) quante la Fiat riusciva a fabbricarne in un anno intero. L’ostacolo più cospicuo sulla via verso la produzione di massa era rappresentato dalla ristrettezza del mercato interno. È stata questa consapevolezza a indurre sin dagli esordi la Fiat a puntare sulle esportazioni (all’inizio degli anni Venti il 60-65% delle vendite). L’attività di export era sostenuta da una fitta rete di filiali internazionali, sottoposte a uno stretto controllo centralizzato. E tuttavia questa organizzazione capillare non bastava più, alla fine degli anni Venti, a garantire l’espansione all’estero, a causa delle difficoltà provocate dalla rivalutazione della lira e dalle misure protezionistiche attuate quasi universalmente. Agnelli deve inoltre contrastare la minaccia concorrenziale della Ford sul mercato italiano e ottiene a tal fine da Mussolini una legge che sancisce l’estromissione delle iniziative automobilistiche straniere dal territorio nazionale (novembre 1928). Nel giugno 1930 il settore automobilistico veniva ulteriormente difeso con una tariffa che impone un dazio del 130% sulle importazioni, ciò che in concreto trasforma la Fiat in un monopolio protetto. La grande crisi colpisce però duramente anche l’impresa torinese: la produzione di autovetture crolla, mentre nei bilanci gli utili si azzerarono per il triennio 1931-1933. Alle difficoltà la Fiat risponde con massicci licenziamenti, tali da provocare seri timori per l’ordine pubblico a Torino.

 

Veduta aerea dello stabilimento Fiat Mirafiori, Torino, 1942 (Archivio e centro storico Fiat, Archivio iconografico).

 
 

Una nuova sfida
La diffidenza del regime fascista nei confronti della grande concentrazione industriale torinese e dell’“americanismo” di Agnelli crea alcune fasi di tensione fra l’imprenditore e il Duce, e Agnelli si trova a difendere l’indipendenza della compagine aziendale dalle pretese di controllo politico da parte del regime.
Nel 1935 l’erede designato, nonché Vicepresidente della Fiat, Edoardo Agnelli, muore in un incidente aereo; tre anni dopo Agnelli individua in Vittorio Valletta il suo successore alla guida dell’impresa, elevandolo nel 1939 alla carica di Amministratore delegato.
È però nelle strategie concernenti la produzione automobilistica che Agnelli sfodera tutto il suo senso di autonomia. Dopo un viaggio negli Stati Uniti nel 1935, comprende chiaramente che il futuro della Fiat non può essere legato esclusivamente alla protezione governativa. Era necessario possedere le capacità per competere sui mercati internazionali dotandosi di strutture per la produzione di massa. Per tale ragione, a settant’anni d’età e a neppure quindici anni dall’inaugurazione del Lingotto, in piena autarchia, l’imprenditore decide la costruzione di un nuovo e più grande impianto automobilistico nella periferia torinese, a Mirafiori. Mussolini era riluttante dinanzi a una simile scelta, soprattutto per il timore che una grande concentrazione operaia avrebbe potuto fomentare l’ostilità verso il regime, ma la determinazione del vecchio Senatore vince le resistenze del dittatore e l’impianto viene inaugurato nel maggio 1939.
Al culmine della sua parabola di imprenditore, Agnelli è insieme stimato e temuto per il cinico pragmatismo, per la durezza imperiosa dei modi, per un certo ruvido sprezzo del mondo che non ruota sui valori della produzione e del lavoro. Preservando l’indipendenza del management e decidendo la costruzione di Mirafiori, Agnelli lasciava un formidabile complesso di forze produttive perfettamente in grado di cogliere le straordinarie opportunità di crescita offerte dal Secondo dopoguerra.
Sotto la guida di Agnelli la Fiat compie ancora la scelta produttiva destinata a esercitare l’influenza più feconda sull’evoluzione aziendale. Nel 1933 l’imprenditore chiede alle sue strutture di progettazione di disegnare una vettura piccola, economica, da vendersi a un prezzo molto contenuto. Da questa sollecitazione nasce il progetto della Zero A, la vettura utilitaria che, a partire dalla fabbricazione e dal lancio sul mercato nel 1936, sarebbe stata ribattezzata popolarmente come la Topolino, l’antesignana della fortunatissima serie di vetture di piccola cilindrata cui la Fiat deve il proprio successo negli anni Cinquanta e Sessanta.