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Servizio Archivistico Nazionale

Archivi d'impresa

SINIGAGLIA, Oscar

Con D’Annunzio a Fiume
Allo scoppio della Prima guerra mondiale Sinigaglia cede la Ferrotaie allo Stato, e si arruola volontario partendo per il fronte. Acquisite in breve tempo responsabilità direttive relative al comparto aeronautico all’interno della "mobilitazione industriale", si guadagna la fama di esperto nei settori avanzati dell’industria italiana. Nel dopoguerra è al fianco di Gabriele D’Annunzio nell’impresa di Fiume, di cui è il tesoriere. La fama di persona onesta ed esperta di problemi economico-industriali lo pone ormai a cavallo fra il pubblico e il privato. All’inizio degli anni Venti acquisisce il controllo di una società produttrice di tubi metallici – la Vianini – grazie alla quale aumenta considerevolmente il suo patrimonio personale, ma segue anche per conto dello Stato nel 1922 il salvataggio delle aziende controllate dal Banco di Roma. Non dimentica inoltre di occuparsi dei problemi della siderurgia italiana che negli anni Venti, date anche le condizioni particolarmente favorevoli del mercato del rottame, prende un indirizzo diametralmente opposto a quello auspicato dall’ingegnere romano. I produttori da rottame come Falck assumono il sopravvento sulla maggiore impresa nazionale, l’Ilva, la quale poteva vantare – insieme a vari stabilimenti di diversa dimensione ed efficienza –, due impianti a ciclo integrale: quello di Piombino e quello di Bagnoli presso Napoli. In un sistema dominato dal protezionismo e dai cartelli, l’Ilva era l’emblema di una “mezza siderurgia”, governata com’era da un management assai più interessato a stipulare accordi di cartello e a ottenere dallo Stato un’elevata protezione doganale che a perseguire aumenti dell’efficienza produttiva.

 

Al servizio dell’economia nazionale
Il prestigio di Sinigaglia fa sì che il governo ricorra a lui quale consulente per i problemi siderurgici della Sofindit, la finanziaria semipubblica nella quale la Banca commerciale concentra le proprie partecipazioni industriali nel 1931. Appare dunque naturale che l’anno dopo sia proprio Sinigaglia ad assumere la Presidenza dell’Ilva, il gigante malato della siderurgia italiana di cui la Commerciale è il maggior azionista. Nella sua nuova veste, coadiuvato da validi collaboratori come Agostino Rocca, Roberto Einaudi, il figliastro Mario Gandolfi - Sinigaglia ha sposato Marcella Mayer, la figlia di Teodoro Mayer, l’irredentista triestino presidente dell’Istituto mobiliare italiano (Imi) –, tenta di attuare il suo programma, che pone l’accento sullo sviluppo e il potenziamento del ciclo integrale. Sinigaglia è un liberista ma il mercato, nella sua visione, va posto al servizio dell’economia nazionale. Se l’iniziativa privata non è in grado di raggiungere un obiettivo così importante come lo sviluppo di grandi stabilimenti siderurgici in Italia, le deve subentrare lo Stato. L’ostilità del vecchio management Ilva si rivela tuttavia insormontabile e lo costringe nel 1935 alle dimissioni. Si abbatte inoltre su di lui una campagna di calunnie: viene accusato di essersi avvalso della sua posizione per cogliere indebiti profitti di concerto con l’impresa di costruzioni del discusso imprenditore Piero Puricelli.