Ministero della Cultura - MIC-Direzione generale archivi

Servizio Archivistico Nazionale

Archivi d'impresa

GARDINI, Raul

L’aiuto di Cuccia
Queste difficoltà sono anche il risvolto di una crescita del mercato borsistico (la capitalizzazione lorda di Borsa passa dai 24.000 miliardi del 1980 ai 142.000 del 1987), a cui molto ha contribuito l’introduzione dei fondi comuni d’investimento, ma che è avvenuta in un contesto istituzionale ancora fragile, poiché a quella data sono ancora assenti diversi strumenti normativi tipici di un capitalismo maturo, come la sanzione dell’insider trading, la regolamentazione della competizione, l’autorizzazione ai fondi pensionistici a operare in Borsa. Le piramidi societarie e l’ampia emissione di azioni di risparmio (senza diritto di voto) non contribuiscono a creare un clima di stabilità e fiducia. La severa crisi dell’ottobre 1987 rende ineviabile il riavvicinamento fra Cuccia e Gardini, reso più agevole dall’estromissione di Schimberni. Ormai privo del sostegno dei risparmiatori, per non restare schiacciato dalla sua conquista Gardini non può far altro che ricorrere a Mediobanca, di fatto indispensabile supporto della grande impresa nell’Italia degli anni Ottanta. All’inizio del 1988 Cuccia progetta un complesso piano di riassetto societario il cui nucleo centrale prevede la fusione fra Iniziativa Meta (ovvero le più redditizie attività della Montedison) e Ferruzzi finanziaria, così da dar vita a Ferfin, la nuova holding di controllo dell’intero gruppo, che a un patrimonio di 2.000 miliardi di lire oppone debiti per 1.200, ma vanta anche partecipazioni per 3.200 miliardi di lire. L’operazione reca consistente sollievo ai Ferruzzi, non mancano però critiche all’ingegneria finanziaria di Cuccia, sia per i concambi, che appaiono troppo favorevoli alla famiglia ravennate, sia perché l’operazione danneggia gli azionisti di Montedison, una società quotata in Borsa, che viene depauperata di una delle componenti più pregiate. Insieme con l’attuazione del piano elaborato da Cuccia, vengono effettuate diverse cessioni; e tuttavia resta pesante l’indebitamento di Montedison, per la quale sono necessari 1.300 miliardi l’anno di interessi passivi.

 

La vicenda Enimont
Questa ragione, la scarsa omogeneità delle strutture produttive, il disinteresse per la chimica di base, spingono Gardini a intavolare trattative nel corso del 1988 con il presidente dell’Eni, Franco Reviglio, per dar vita a un’azienda comune alla quale conferire gli impianti per le produzioni chimiche di base, le fibre, gli elastomeri e i prodotti per l’agricoltura, premessa ineludibile per ottenere adeguate economie di scala che in quei comparti nessuno dei due gruppi da solo può raggiungere. Nasce così nel gennaio del 1989 l’Enimont, un’impresa chimica che si colloca fra le prime dieci del mondo con 14.000 miliardi di fatturato e 20.000 dipendenti, ma che soprattutto consente a Gardini di liberarsi di 4.000 miliardi di debiti e, al tempo stesso, di conservare la parte migliore della Montedison, poiché le produzioni di polipropilene, i derivati del fluoro e la farmaceutica non entrano a far parte dell’Enimont. L’accordo presenta tuttavia due punti deboli. Innanzitutto il Governo non riesce a far approvare dal Parlamento la legge – promessa a Gardini – che consente l’abbattimento degli oneri fiscali (1.200 miliardi) sulle plusvalenze derivanti alla Montedison dalla fusione. In secondo luogo l’intesa prevede per Eni e Montedison il possesso paritetico del 40% della nuova società e il restante 20% da porre sul mercato, con il patto che i soci non ne approfittino per alterare l’equilibrio. Quando però nell’ottobre del 1989 il titolo esordisce in Borsa, sono sodali e partner di Gardini che intervengono per acquistarne quantità tali da squilibrare di fatto i rapporti. La vicenda Enimont si trascina quindi per quasi due anni fra polemiche e scontri di ogni genere, finché nel novembre del 1990 la Montedison cede all’Eni il suo 40% per 2.805 miliardi di lire, una somma che a molti pare eccessiva.