Ministero della Cultura - MIC-Direzione generale archivi

Servizio Archivistico Nazionale

Archivi d'impresa

LANCIA, Vincenzo

Lancia "Lambda I-V", serie 1922-25 (Archivio e centro storico Fiat, fondo Lancia).

 
 

La Lambda: tra le più audaci del mondo
Nel dopoguerra Lancia, rimasto da solo al comando dell’azienda dopo il ritiro di Fogolin, deve affrontare un periodo di incertezze, che costringe l’impresa, nel 1919, a chiudere il primo bilancio in perdita della sua storia. Ma il sovradimensionamento degli impianti e la diversificazione provocati dalla domanda bellica lasciano strascichi ben più gravosi in altre imprese del settore, e il successivo quadriennio 1919-1922, pur caratterizzato da una forte instabilità della domanda, segna il ritorno dell’azienda all’utile.
La Lancia è uno dei protagonisti del rinnovamento dell’automobilismo nazionale nei primi anni Venti, insieme con la Isotta Fraschini e l’Alfa Romeo, nel segmento delle vetture di lusso, e la Fiat, nel gruppo dei veicoli di minore cilindrata. Nel dicembre 1921 la rivista «Motori, aerei, cicli e sports» dà notizia di un’automobile che si presenta come una vera rivoluzione tecnica: è la Lambda, la vettura grazie alla quale Lancia, che sino ad allora era considerato un costruttore di alta qualità ma piuttosto conservatore, acquista la reputazione di progettista fra i più audaci nel panorama internazionale.
Le grandi novità della Lambda sono: un motore a quattro cilindri a V, con angolo molto stretto (a 13 gradi), tale da consentire una costruzione compatta e leggera, l’avantreno a ruote indipendenti – un passo avanti di non poco conto sul piano della sicurezza –, ma soprattutto la fusione fra carrozzeria e telaio – la scocca portante –, che dimezza il peso della vettura rispetto a modelli della stessa cilindrata e offre una resistenza agli urti molto maggiore rispetto alle strutture tradizionali. Con la Lambda, Lancia offre l’unica vera automobile italiana “media”, di alta classe, in grado di fornire prestazioni d’eccezione e indubbia comodità a un prezzo (35.000 lire) non troppo superiore a quello di modelli ben più spartani come la Fiat 501. La Lambda ottiene uno straordinario successo di mercato: fra il 1923 e il 1931 ne vengono costruiti oltre 13.000 esemplari.
 

 

Più qualità, meno quantità
All’inizio degli anni Trenta la Lancia toglie alla Bianchi la seconda posizione fra le imprese automobilistiche italiane, posizione che mantiene saldamente fino a fine decennio, controllando più del 9% del mercato nazionale. Quest’ultimo resta ancora piuttosto asfittico: nel 1938, a fronte di sette veicoli su 1.000 abitanti rilevabili in Italia, stavano i 18 della Germania, i 43 della Francia, i 44 della Gran Bretagna e i 114 negli Stati Uniti. L’evoluzione complessiva del settore, i suoi ritmi di sviluppo, la definizione dell’assetto competitivo ben si adattano al percorso di un’azienda quale la Lancia, che mira alla differenziazione del proprio prodotto, alla costruzione di un numero relativamente limitato di veicoli – nel 1939, anno in cui si contano più di 5.000 dipendenti, la produzione ammonta a 6.262 vetture – e che di sicuro non ricerca un’organizzazione interna di tipo fordista; alla produzione di massa punta invece la Fiat, che negli anni Venti e Trenta, grazie a una strategia di poderosa integrazione verticale e alla dotazione di un’estesa gerarchia manageriale, arriva a controllare quasi il 90% della produzione italiana. La possibilità di sopravvivenza per le case minori è dunque legata alla capacità di presentare sul mercato vetture che si distinguano sul piano qualitativo. Fino al 1937, anno in cui Vincenzo muore, stroncato da un infarto, la Lancia immette sul mercato altre cinque vetture: un modello di lusso di alta cilindrata, la Dilambda, nel 1929; due anni dopo l’Astura e l’Artena per la fascia medio-alta, distinte solo per la diversa dimensione del motore (otto cilindri la prima, quattro la seconda); una raffinata “utilitaria”, l’Augusta, nel 1932; una macchina veloce di media cilindrata, l’aerodinamica Aprilia, nel 1937.