Da ciascun titolo si accede alle informazioni di carattere storico-politico ed economico del periodo e all'elenco degli eventi più rilevanti di ogni singolo anno. I testi sono stati elaborati dall'Università Bocconi, nell'ambito del Progetto Nazione, Territori, Imprese.
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1861 - 1896: Prima dell'industria
Il "destino manifesto" dell'Italia dal punto di vista economico sembra essere l'agricoltura. In alcune aree è stata passata una "prima mano di vernice industriale": si tratta però di un tessuto fragile in equilibrio instabile, che le ricorrenti crisi rischiano di compromettere. Imprese importanti come la Terni o l'Ansaldo sono inestricabilmente legate, attraverso protezionismo o commesse, allo Stato, disposto anche a stampare carta moneta per salvarle in caso di fallimento. Crescono alcuni grandi opifici tessili in Lombardia, Veneto e Campania, ma l'industria italiana è formata da "isole" in un "mare contadino". -
1896 - 1918: La prima industrializzazione
A fine Ottocento ha inizio la prima industrializzazione, il vero "miracolo italiano", data la precedente arretratezza del Paese. Si consolida e si sviluppa un settore tradizionale come quello tessile (il cotonificio, in particolare), ma crescono anche settori tecnologicamente più avanzati, come quello automobilistico, che vede l'Italia fra i pochi produttori al mondo. Il vero e proprio punto di non ritorno per l'industrializzazione del Paese è la Prima guerra mondiale, che impone l'organizzazione della produzione a fini bellici. La mobilitazione rende sempre più evidente il divario fra il "triangolo industriale" – che ha come vertici Milano, Torino e Genova – e il resto del Paese. -
1918 - 1945: Anni difficili
Sono anni di grande instabilità economica, in parte conseguenza dell'economia di guerra del periodo precedente. La politica di rivalutazione della lira – "quota 90" –, perseguita da Mussolini dall'estate del 1926, provoca seri danni all'industria leggera e in generale ai settori che puntano ai mercati esteri. La grande crisi del 1929 si abbatte sugli squilibri dell'economia italiana e ha come conseguenza il salvataggio da parte dello Stato delle attività industriali delle tre grandi banche miste, la Banca commerciale italiana, il Credito italiano, il Banco di Roma. Nel 1933 nasce l'Iri, una grande holding con la quale lo Stato esercita un ferreo controllo sul credito e si fa imprenditore industriale. In seguito, sull'economia italiana si abbattono le ubbie autarchiche e militaristiche del Fascismo. Tuttavia l'Italia, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, è l'unico Paese del Mediterraneo con una consistente base industriale. -
1945 - 1970: Gli anni gloriosi
La grande voglia di riscatto degli italiani dopo il Fascismo e la guerra, l'adesione all'Occidente, l'avvio della ricostruzione e il sostegno economico del "piano Marshall" inseriscono il Paese in una grande corrente di sviluppo internazionale. Fra il 1950 e il 1970 il reddito nazionale cresce a un tasso medio annuo del 6%. Si affermano, per l'azione di grandi imprenditori e grandi imprese, le produzioni di massa. Nascono nuovi settori come quello degli elettrodomestici, mentre si irrobustisce l'apparato industriale italiano anche al livello della piccola e media dimensione d'impresa. L'iniziativa statale sembra il grado di governare il cambiamento con gli strumenti della "programmazione economica" e l'estensione della proprietà pubblica in importanti settori industriali, primi fra tutti quello energetico e quello siderurgico. Il ruolo di indirizzo dello Stato nell'economia non intacca però in profondità i persistenti squilibri sociali e territoriali che rendono fragile il sistema economico nazionale. -
1970 - 1980: Il decennio terribile
Emergono drammaticamente nell'industria le conseguenze di un impetuoso sviluppo non governato, sia all'interno della fabbrica, dove le tradizionali rappresentanze sindacali (commissioni interne) sono decisamente inadeguate, sia nell'ambiente esterno, che manca di essenziali servizi sociali e di un moderno welfare . Sono anni di grandi lotte operaie che non avranno un esito riformistico, né sapranno confrontarsi con le compatibilità dell'economia, ma approderanno a un acuto conflitto sociale sino ai noti episodi aberranti di terrorismo. A tutto ciò si aggiunge il disordine monetario internazionale (sganciamento del dollaro dall'oro), la crisi petrolifera, la galoppante inflazione. Nonostante ciò, l'Italia è il Paese occidentale che più cresce dopo il Giappone, mantenendo per tutto il decennio il rispettabile incremento medio annuo del Prodotto Nazionale Lordo al 3%. Si scopre anche l'importanza della piccola impresa, spesso organizzata in distretti industriali. -
1980 - 1992: L'illusorio boom
Anche in Italia soffia il vento internazionale del liberismo e della deregolamentazione: sono gli anni di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan. La Borsa di Milano, che ha una capitalizzazione nel 1980 di 25.000 miliardi, raggiunge i 190.000 nel 1987. Ne beneficia, soprattutto, la grande impresa con i suoi capitani, i De Benedetti, gli Agnelli, i Romiti, i Gardini, i Berlusconi. Si tratta tuttavia di uno sviluppo effimero perché senza regole. Manca un quadro giuridico istituzionale adeguato: non c'è una regolamentazione antitrust; gli investitori in borsa non sono adeguatamente tutelati; manca una legislazione di supporto ai fondi comuni e ai fondi pensione, mentre cresce a dismisura il debito pubblico. All'inizio degli anni Novanta, il Paese sembra aver perduto tutti i vantaggi acquisiti nel decennio precedente. -
1992 - 2010: Fra declino e trasformazione
La firma del trattato di Maastricht è un episodio di grande significato e positività per l'Italia: non solo porta alla stabilità monetaria e al contenimento del debito pubblico, ma costringe i politici a dare all'economia del Paese quel quadro giuridico istituzionale che mancava nel decennio precedente: sembra però che "si chiudano le stalle quando ormai i buoi sono scappati". Negli anni Novanta diverse grandi imprese scompaiono (la Montedison e la Olivetti), creando vuoti nell'apparato industriale del Paese. Emerge la media impresa, spesso concentrata su una nicchia (ma una nicchia globale). È il cosiddetto "quarto capitalismo", che fiorisce soprattutto nei settori dedicati alla persona e all'abitazione, permettendo al Paese una sorta di galleggiamento in un accettabile benessere. Nonostante i segnali di rinnovamento, negli ultimi quindici anni l'Italia presenta una crescita modestissima. Preme la globalizzazione, il cui esito sull'andamento economico del Paese è incerto. Minaccia o opportunità?