Ministero della Cultura - MIC-Direzione generale archivi

Servizio Archivistico Nazionale

Archivi d'impresa

SINIGAGLIA, Oscar

Con Rocca, dopo le leggi razziali
Il clima instauratosi negli anni successivi nel Paese in seguito alla promulgazione delle leggi razziali contribuisce ancor di più alla sua emarginazione. Il suo programma per una grande siderurgia nazionale è però ripreso da Agostino Rocca, suo fedele discepolo, Amministratore delegato dell’Ansaldo e, dal 1937, Direttore Generale della Finsider, la finanziaria pubblica nella quale l’Istituto per la ricostruzione industriale (Iri) concentra le proprie partecipazioni nel settore dell’acciaio. Rocca, che è in costante contatto con Sinigaglia, imposta un piano per la siderurgia che è definito “autarchico” in omaggio al Regime, ma che in realtà è il suo contrario, poiché prevede, con la costruzione di un nuovo impianto a ciclo integrale a Cornigliano (presso Genova), un cospicuo aumento delle importazioni di minerale di ferro, tale da sconvolgere gli equilibri della vecchia siderurgia italiana ancora dominata dai produttori di acciaio da rottame. Dopo molte controversie e dibattiti – Sinigaglia vive in semiclandestinità dalla fine degli anni Trenta – lo stabilimento di Cornigliano viene costruito all’inizio degli anni Quaranta, progettato inizialmente per produrre 300.000 tonnellate di acciaio all’anno: dopo l’8 settembre 1943 è però completamente smantellato dagli occupanti tedeschi, che inviano gli impianti in Germania.
Rocca, che resta al suo posto quale Amministratore delegato dell’Ansaldo, dopo l’aprile del 1945, viene sottoposto a procedimento di epurazione e si trasferisce in Argentina: qui, anche grazie al supporto di Sinigaglia, fonda la Techint, un’importante impresa produttrice di impianti industriali.

 

Alleanza con la Fiat
Sinigaglia invece, vicino alle posizioni della Democrazia cristiana e stimato da Alcide De Gasperi, nel 1945 viene nominato Presidente della Finsider e può finalmente dedicarsi all’attuazione del suo piano. Non senza contrasti: di fronte alla commissione economica dell’Assemblea Costituente Giovanni Falck ribadisce la tesi secondo la quale all’Italia non serve una “grande” siderurgia. Si tratta di una posizione simile a quella del Commissario straordinario all’Alfa Romeo, Pasquale Gallo, che individua nell’artigianato organizzato di tipo svizzero il modello migliore per l’Italia in campo industriale. Non a caso, Oscar Sinigaglia è l’unico fra i tanti “intervistati” dalla Commissione ad affermare, insieme a Vittorio Valletta, la necessità della produzione di massa. È il segno di un’alleanza con la Fiat, che prefigura la possibilità di acquistare in grandi quantità e a un prezzo conveniente i laminanti piatti prodotti nel nuovo stabilimento di Cornigliano. Questo è il nucleo fondamentale del "piano Sinigaglia", che prevede la ricostruzione completa dell’impianto: a differenza di quello progettato da Rocca però, il secondo Cornigliano viene dotato di un laminatoio continuo, una tecnologia alla frontiera acquistata negli Stati Uniti grazie ai fondi del "piano Marshall". Non è facile per Sinigaglia convincere gli americani, inclini inizialmente ad accettare le idee di Falck e a mantenere un atteggiamento scettico nei confronti della possibilità di sviluppo della siderurgia italiana. È l’alleanza stipulata con l’Armco, un’impresa siderurgica americana all’avanguardia dal punto di vista tecnologico e organizzativo, che convince infine le autorità americane, nell’autunno del 1949, a concedere i finanziamenti necessari con i fondi dell’European Recovery Program. Lo stabilimento di Cornigliano non è però l’unico obiettivo del "piano Sinigaglia", che include anche la specializzazione degli altri due stabilimenti a ciclo integrale di Bagnoli e Piombino (per la produzione di rotaie e profilati), la riconversione in centri di rilaminazione e di attività di carpenteria degli stabilimenti minori e, infine, la chiusura degli impianti obsoleti. Il conseguimento di quest’ultimo obiettivo provoca il licenziamento di migliaia di lavoratori. A chi gli addebita il disagio sociale derivante da tale scelta, Sinigaglia replica che abbassando il prezzo dell’acciaio e migliorandone la qualità si sarebbe sviluppata in notevole misura l’industria meccanica, riassorbendo così la disoccupazione che si era venuta a creare. Ciò accade puntualmente; inoltre, grazie al "piano Sinigaglia", la produzione italiana di acciaio riesce a salire dal nono al sesto posto a livello mondiale, passando dai 2,4 milioni di tonnellate nel 1950 ad oltre 9 milioni di tonnellate nel 1961.
Sinigaglia muore d’infarto il 30 giugno 1953, prima di poter vedere il raggiungimento di quest’ultima, importantissima, meta da parte dell’industria nazionale e, paradossalmente, assillato dal dubbio di aver creato con il suo "piano" capacità produttive sproporzionate rispetto alle possibilità di assorbimento del mercato italiano.

Risorse bibliografiche
G. Toniolo, Oscar Sinigaglia (1877-1953), in I protagonisti dell’intervento pubblico in Italia, a cura di A. Mortara, Milano, Franco Angeli, 1984, pp. 405-430; L. Villari, Le avventure di un capitano d’industria, Torino, Einaudi, 2008; G. L. Osti e R. Ranieri, L’industria di Stato dall’ascesa al degrado. Trent’anni nel gruppo Finsider, Bologna, Il Mulino, 1993.