Ministero della Cultura - MIC-Direzione generale archivi

Servizio Archivistico Nazionale

Archivi d'impresa

GALBANI, Egidio

Lo stabilimento della Società anonima Egidio Galbani a Melzo nel 1920 ca. (Museo del marchio italiano)

 
 

Nel 1922 è perciò avviata la costruzione di un nuovo stabilimento alla Certosa di Pavia che - per evitare un eccessivo appesantimento finanziario - Galbani decide ancora una volta di realizzare ricorrendo all'autofinanziamento e solo in minima parte all'indebitamento bancario. La crescita coinvolge rapidamente sia gli aspetti di carattere distributivo - si incrementa decisamente la presenza nei mercati esteri, affidati alla cura di Giacomo(1897-1983), figlio di Giuseppe - sia di innovazione sul versante del prodotto: Galbani, nonostante l'età avanzata, prosegue infatti nelle proprie sperimentazioni, giungendo a introdurre nuove soluzioni anche nel packaging; nel 1924-1925 si realizzano "scatolette di porzioni senza crosta" (i formaggini) destinate a imporsi rapidamente sul mercato.
Il continuo aumento della produzione e, in particolare, delle esportazioni (che via via arrivano a superare l'ammontare della produzione destinata al mercato interno) impongono all'inizio del 1925 un riassetto dell'impresa. Viene allora deciso un forte aumento di capitale - garantito dall'appoggio di un consorzio di collocamento bancario guidato dalla Banca della Svizzera italiana di Lugano - da 2 a 10 milioni di lire, immediatamente impiegati nell'ammodernamento delle strutture produttive (il valore degli impianti passa da 2,7 a oltre 7,5 milioni). A questo punto la Galbani, con gli stabilimenti di Melzo e quello di Pavia Certosa, è uno fra i principali protagonisti del settore caseario italiano, preceduta solo dalla lodigiana Polenghi-Lombardo.

 

Gli stabilimenti impiegano alla metà degli anni Venti una forza motrice di circa 500 HP con una capacità giornaliera di lavorazione intorno ai 1.500 quintali di latte, in linea con l'azienda rivale. La capacità di lavorazione complessiva passa dai 146.000 quintali del 1925 ai 450.000 del 1930. Le esportazioni, solo parzialmente colpite dalla politica deflazionistica di “quota 90”, si attestano su percentuali variabili tra il 30% e il 50% della produzione totale, dirigendosi principalmente verso i mercati tedeschi, francesi e statunitensi, dove la penetrazione avviene tramite la rete di vendita della Mattia Locatelli, nel frattempo divenuta un'importante società commerciale in campo caseario attiva sui mercati d'esportazione, e principalmente negli Stati Uniti, in Sudamerica e in Inghilterra.
Sempre più stretti si fanno nel frattempo i legami con l'azienda famigliare degli Invernizzi, che vanno assumendo posizioni di rilievo sempre maggiore all'interno della Galbani. Il processo di rivoluzione negli assetti proprietari della Galbani culmina nel giugno del 1926 con l'abbandono della società da parte di Galbani stesso, mentre la presidenza viene affidata ad Achille Invernizzi.
Non del tutto chiari appaiono i motivi per cui Galbani, che insieme ai familiari deteneva complessivamente il 65% del capitale, arrivi a maturare tale decisione. Il disaccordo, anche parziale, sulle strategie di sviluppo intraprese non giustificherebbe l'accettazione della carica di presidente onorario a lui conferita dal consiglio d'amministrazione nel giugno 1926, né l'apertura di una linea di credito in conto corrente di un milione fatta personalmente da Galbani a favore della società.