Ministero della Cultura - MIC-Direzione generale archivi

Servizio Archivistico Nazionale

Archivi d'impresa

Fiat

Donna vicino ad un'auto Fiat 500C, 1949-1950 (Archivio e centro storico Fiat, Fondo iconografico).

 
 

  Mentre la prima guerra mondiale aveva dato impulso all’industrializzazione italiana e creato le condizioni per la trasformazione della Fiat in una grande impresa, la seconda portò un lungo periodo di serie difficoltà. Nei primi anni di guerra furono potenziati gli impianti e assunte altre 10.000 persone. La produzione aumentò fino al 1942, ma in misura meno che proporzionale agli addetti e agli impianti, a causa delle carenze dei rifornimenti di materie prime ed energia, nonché delle incertezze dei vertici delle forze armate sui modelli da produrre, che determinarono l’irregolarità e la mancata standardizzazione delle commesse. I gravi danni causati dai bombardamenti del novembre 1942, seguiti negli anni successivi da numerose altre incursioni aeree, segnarono l’inizio di un calo produttivo inarrestabile: la produzione siderurgica nel 1944 si ridusse alla metà in confronto al 1941, e quella meccanica al 40 per cento. Nel 1945, poi, nel periodo precedente l’insurrezione del 25 aprile, l’attività produttiva fu del tutto disarticolata. Gli impianti di Mirafiori, progettati per impiegare una manodopera di 22.000 operai su due turni, furono utilizzati per gli autocarri e per la produzione dei gruppi meccanici di autoveicoli e aerei, ma dovettero attendere gli anni Cinquanta prima di raggiungere il numero di dipendenti previsto e di veder tradotta in realtà la produzione in grande serie per la quale erano stati costruiti.
Le vicende belliche, la crisi del regime fascista e l’occupazione tedesca riaccesero le tensioni politiche e sociali. Gli stabilimenti tornarono a essere luogo di scontro di interessi, ma al contempo si accentuò la caratterizzazione dell’azienda come una comunità, che doveva affrontare una situazione difficile.
     Negli anni Venti e Trenta erano stati creati vari organismi assistenziali e associativi per le attività culturali e del tempo libero dei dipendenti: la Scuola Allievi, il Dopolavoro, il Gruppo sportivo, l’Associazione impiegati, la Biblioteca, la Mutua Fiat, le colonie e le case di cura. Negli ultimi anni di guerra, quando le condizioni di vita in città divennero difficilissime perché mancava tutto, l’assistenza di fabbrica fu potenziata con la costituzione di un ufficio centrale. La Fiat si sostituì alle istituzioni pubbliche, ormai incapaci di operare, nel procurare rifornimenti di generi di prima necessità, con la «minestra Fiat», gli spacci di stabilimento, gli acquisti e la distribuzione di indumenti, legna e carbone. Con un numero di dipendenti che nel 1941 superava i 60.000 nei soli stabilimenti torinesi, l’azienda garantì aiuti, più o meno direttamente, ad almeno un terzo della popolazione di Torino.
 

Immagine pubblicitaria del modello Fiat 600, anni '50 (Archivio e centro storico Fiat, Fondo iconografico).

 
 

  Al termine del conflitto la situazione aziendale si presentava quanto mai difficile, per la mancanza di rifornimenti e di mercati di sbocco, per la disorganizzazione produttiva e il forte esubero di personale. Le tensioni politiche del dopoguerra, mentre si profilava la guerra fredda, furono acuite dalla forte disoccupazione e dall’inflazione galoppante. Nella primavera del 1946, dopo dieci mesi di gestione commissariale, con il ritorno di Valletta alla guida dell’azienda si avviò un lento cammino verso la normalità. Alla Fiat la ricostruzione delle officine fu completata alla fine del 1947 e l’anno successivo la produzione tornò ai livelli prebellici, ma la guerra aveva interrotto per quasi dieci anni il processo di sviluppo.

     Nel dicembre 1945 era morto Giovanni Agnelli, che dieci anni prima aveva perso il figlio Edoardo in un incidente aereo. Vittorio Valletta, che nel 1939 aveva affiancato Agnelli nella carica di amministratore delegato, fu nominato presidente e amministratore delegato unico; dal 1955 gli subentrò nella carica di amministratore delegato Gaudenzio Bono. Valletta fu uno dei pochi imprenditori e manager italiani che sin dall’immediato dopoguerra si dichiararono convinti che fosse possibile per l’Italia percorrere la strada di uno sviluppo economico accelerato basato sull’ampliamento dei mercati. Puntò così sull’ammodernamento tecnologico e l’innovazione della gamma dei prodotti. Grazie agli aiuti del Piano Marshall la Fiat si dotò di macchinari e impianti al passo con i migliori standard americani e fu pronta a inserirsi nell’espansione internazionale favorita dall’integrazione economica dei paesi occidentali.
 La produzione di massa di vetture utilitarie per il mercato interno ed europeo compì il balzo decisivo con il lancio della Seicento nel 1955 e della nuova Cinquecento due anni più tardi: compresi i modelli prodotti su licenza, delle due utilitarie sarebbero stati fabbricati complessivamente 8 milioni di esemplari.